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MARIUS ET JEANNETTE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 27 gennaio 1998
 
di Robert Guédiguian, con Ariane Ascaride, Gérard Meylan, Jean-Pierre Darroussin (Francia, 1997)
 
Un film popolare. Una fiaba, un'operetta (e non solo per le sue musiche, per la fortissima cadenza dell'accento meridionale): un assieme di personaggi e luoghi cosi tipici, di sentimenti cosi "buoni" ed ottimistici da apparire a prima vista sospetta. Ma la fiaba raccontata in MARIUS ET JEANNETTE, quella del loro amore cosi semplice da non apparire semplicistico, del loro incontro sul cantiere edile abbandonato, di lei che va a rubare un secchio di pittura dimenticato da tempo, e di lui che fa il custode, grande con il suo faccione da apache, grosso nella sua immensa tuta rossa, che dapprima la minaccia, poi gliene porta addirittura due, di secchi, a casa; in quel quartiere de l'Estaque che piaceva già tanto ai pittori, prima che arrivassero le fabbriche.

Nulla di edulcorato. Al contrario, un universo sempre più probabile, benvenuto e salutare: poiché iscritto da Guiediguian in un quadro scenografico che ha la precisione spaziale di quello teatrale, ma la verità di un quadro sociale realistico. Gli archetipi di un mondo che lo spettacolo (dei Pagnol, dei Renoir, ma pure dei De Sica) ha reso celebre: ma che l'autore di A LA VIE, A LA MORT riattualizza grazie all'estrema semplicità, alla naturalezza della sua regia. Ad una ricerca dell'incanto, che lo conduce verso la poesia piuttosto che nel pittoresco.

Grazie a quel modo d'incollarsi ai suoi attori fuori dal comune, gente di teatro dal viso che ci è sconosciuto: indimenticabile, luminosa Ariane Ascaride, Jeannette; possente, trattenuto, commovente Marius (Gérard Meylan) che invadono ogni primo piano con la minima accentuazione delle loro espressioni.

In un'epoca come la nostra, un film come MARIUS ET JEANNETTE traduce un tentativo raro e prezioso: introdurre un concetto astratto ed intellettuale come l'Utopia nel profondo sentimenti di una vicenda genuinamente popolare. D'isolarsi con i propri personaggi, forte della convinzione che folclore non significhi kitsch ma, al contrario, analisi di comportamenti arcaici. E di restituirceli con una felicità che non si può che definire umana e poetica.


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